III DOMENICA DI PASQUA C
III DOMENICA DI PASQUA C

III DOMENICA DI PASQUA C

«Tu, mi ami?»

(Gv 21,1-19)

L’esperienza della Resurrezione ha ricompattato gli apostoli: ora essi stanno insieme e agiscono insieme, seguendo Pietro. Ma si ritrovano uniti nel fare il mestiere che avevano abbandonato su invito di Gesù! Hanno avuto un ritorno di fiamma, evidentemente. Hanno ripreso in mano le redini della loro vita. Non si erano ancora resi conto che, dopo l’incontro con il Risorto le cose non potevano più andare come prima. «Ma in quella notte non presero nulla»: la notte è favorevole per la pesca di pesci, ma non per la pesca di… uomini. Era notte per gli apostoli, perché nella loro barca mancava la Luce della presenza di Gesù. Si erano dimenticati che senza di Lui non potevano far nulla e, anzi, potevano solo andare alla deriva (Gv 15,5). Gesù aveva preso in mano il timone della loro esistenza. Essi non erano più liberi di fare quello che volevano, perché erano stati scelti, eletti per una missione particolare: continuare l’opera di Gesù. Per continuare la Sua opera dovevano avere e seguire le sue indicazioni. Non potevano permettersi di dimenticarLo a terra!

            L’alba arriva con il Signore che si presenta sulla riva. Le tenebre cominciano a diradarsi, sconfitte. Ma i sette sono talmente presi dalle loro attività (sterili!) che non si accorgono di Gesù! Ogni volta che il Risorto si manifesta c’è il problema della nostra ottusità, che di solito è dovuta al fatto che siamo più attenti a quello che stiamo facendo noi che a come sta agendo Lui. La domanda affettuosa di Gesù li rende coscienti della loro infruttuosità. Gesù li chiama «figlioli», come fossero adolescenti capricciosi e ostinati. «Gettate la rete nella parte destra della barca e troverete!»: la destra, biblicamente, è la parte della benedizione. Se ascoltiamo Gesù, gettiamo le reti dalla parte giusta, nel momento e nel modo giusti. A non prender nulla, a sbagliare tempi, modi e mezzi, invece, ci arrangiamo da soli. «Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “E’ il Signore!”». C’è sempre qualcuno che arriva per primo, il Giovanni della situazione. Lui vede meglio degli altri, è più presente degli altri, sa leggere i segni, intuire ciò che sta succedendo. Il discepolo che Gesù amava è colui che vive l’amore con naturalezza, per questo arriva sempre per primo e segue il Maestro fino in fondo (19, 26.35; 21,20). Pietro, cioè l’istituzione, la gerarchia, ha sempre bisogno del discepolo che si sente più amato da Gesù per ricevere una spinta che gli fa fare un passo avanti, lo risveglia. Giovanni arriva prima perché si lascia guidare dal cuore, Pietro deve prima capire (è più lento, deve fare discernimento, giustamente!). Però poi si butta con slancio verso il suo Signore.

Notiamo che, quando tutte le condizioni naturali sono favorevoli per la pesca, i discepoli non prendono niente. Nel luogo e nel momento meno indicati, invece, fanno una pesca strepitosa, semplicemente perché obbediscono alla Parola. Hanno creduto più a Gesù, che era un predicatore e Messia, ma non certo un pescatore, che alla loro perspicacia e perizia. Il numero 153 si riferisce a tutti i tipi di pesci conosciuti dalla scienza di allora e possono essere presi come simbolo di tutte le nazioni a cui sarà annunciata la salvezza in Cristo. Gesù ha già provveduto a tutto (fuoco, pesce, pane), ma chiede il contributo della sua Chiesa (un po’ di pesce). La sua missione terrena è stata perfetta, ma ha deciso di servirsi, di aver bisogno anche della missione della Chiesa.

Segue il faccia a faccia con Pietro. Gesù lo induce a misurare il suo amore: “Mi ami tu di più?”. Che splendido gesto di umiltà da parte del Dio umanizzato! Mendicare l’amore del suo apostolo… Pietro con il suo timido, titubante “Sì”, ripetuto tre volte, riprende tutta la dignità che aveva perduto con il suo deciso e ostinato triplice “No!”. Questa è l’unica espiazione richiesta dal Maestro: amare. Amare di più. Più che una gara di amore tra discepoli (“più di costoro”), preferisco pensare che Gesù abbia inteso dire: “più di tutto questo” (la traduzione dal greco permette questa versione). Il Signore chiede a Pietro che il suo amore per Lui superi quello delle “sue cose”, intese come il suo passato (beni materiali, indipendenza e iniziativa personale…) e il suo futuro (ministero-ruolo nella Chiesa; essere pescatore di uomini, ma ritenendo sempre Gesù più importante delle sue attività).  Amare Gesù più di tutto ci rende capaci di servire i fratelli e di essere fedeli fino al martirio, come Pietro.

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