II DOMENICA DI PASQUA anno C
II DOMENICA DI PASQUA anno C

II DOMENICA DI PASQUA anno C

«Pace a voi!»

(Gv 20,19-31)

«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato» (v. 19); «Otto giorni dopo…» (il giorno ottavo) (v.26): è iniziata la nuova creazione con il sorgere di un nuovo giorno, chiamato dall’Apocalisse esplicitamente «il giorno del Signore» (Ap 1,10: seconda lettura nella liturgia di oggi). Dio ha inventato la Domenica, detta anche «l’Ottavo giorno», per sottolinearne la novità rispetto alla settimana ebraica. È il giorno caratterizzato dalle apparizioni del Risorto alla comunità riunita.

I discepoli (maschi!) sono pieni di paura e si nascondono. È chiaro che hanno creduto solo ad una parte del messaggio delle donne: il rinvenimento del sepolcro vuoto. Non hanno creduto che Gesù è risorto ed è stato visto da loro! A Gesù personalmente tocca l’impresa di stanarli e di convincerli della sua resurrezione. Gli evangelisti si trovano di fronte ad un dato inconfutabile, storico: l’ostinata incredulità dei discepoli uomini, apostoli in testa (cfr. Mc 16,11.13.14; Mt 28,17; Lc 24,11.25.37.41). L’accenno alle «porte chiuse» (Gv 20,19.26) serve per informarci circa la nuova situazione del corpo risorto di Gesù (che passa attraverso di esse!), però dicono anche lo spessore della paura che Gesù deve smantellare perché i suoi credano che Lui è vivo! Non sarebbe stato molto più bello e, forse, consolante per Lui, vedersi accolto a porte spalancate da coloro che avevano creduto all’annuncio al femminile della sua vittoria sulla morte?

Gesù appare «in piedi, eretto», davanti ai suoi, nella posizione tipica della persona viva: il Risorto è il Vivente, il Vittorioso. Le sue prima parole sono: «Pace a voi!». L’ebraico Shalom acquista tutta la sua pienezza sulla bocca di Gesù. Non è un semplice augurio, ma la realizzazione di una promessa. Gesù Risorto, con efficacia divina, annuncia, creando, Shalom nei cuori degli uomini. La Pace di Cristo è tutta la positività legata alla sua Persona che noi riceviamo accogliendo Lui. È l’armonia, la gioia, la serenità interiore; la fraternità, l’amore, la salvezza integrale di tutto l’uomo.

«Detto questo mostrò loro le mani e il costato»: invece di annullare con un colpo di bacchetta magica tutto il male e le guerre che sono sulla terra, Egli mostra la fonte dello Shalom, i segni della sua passione e morte. Da lì scaturisce per noi la salvezza. E anche la fede: i discepoli riconoscono Gesù dalle sue piaghe. Gesù è risorto, ma le tracce della sua passione non sono cancellate. Anzi diventano la garanzia che è Lui, proprio Lui, il Crocifisso di tre giorni prima. È l’agnello immolato, ma in piedi vittorioso (Ap 5,6). Per questo i cristiani hanno la Croce come segno distintivo: noi crediamo in Gesù, crocifisso e risorto.

Segue l’invio, la missione. Tutti i discepoli presenti, non solo gli apostoli, sono delegati da Gesù per continuare la sua missione. Egli resta sempre con noi, nei nostri cuori, ma siamo noi che dobbiamo andare con le nostre gambe, con il nostro impegno. Senza di noi, la missione si arresta e il mondo non riceve la pace di Gesù. L’equipaggiamento per la missione è costituito dallo Spirito Santo. Non si può partire senza di Lui. La Pentecoste per l’evangelista Giovanni è strettamente legata alla morte e resurrezione di Gesù (19,30). Con lo Spirito Santo veniamo abilitati ad annunciare la remissione dei peccati, la salvezza. La nostra responsabilità è grandissima: se noi non lo facciamo, i peccati rimangono (e lo vediamo!).

Infine, Tommaso! La sua unica ‘colpa’, forse, è stata quella di non essere insieme con gli altri in quella prima fatidica Domenica. Forse, sull’esempio delle donne, stava facendo le sue indagini per trovare il corpo dello Scomparso. Non ci possiamo meravigliare più di tanto se un uomo con i piedi ben piantati per terra ha voluto essere ben sicuro che il Risorto fosse veramente Gesù e non un fantasma o qualcun altro! Dalla morte di croce non si torna in vita così facilmente! Lui aveva ancora negli occhi la scena e, forse, nel cuore il rimorso di non essere riuscito a seguire il suo Maestro fino in fondo (Gv 11,16). Certo la sua è stata un’uscita un po’ infelice e pretestuosa (voler a tutti i costi vedere e toccare personalmente), ma forse gli altri discepoli non sono stati molto convincenti nel loro annuncio! Lui voleva qualche prova più sicura e stringente. E Gesù gliela dà: ritorna solo per lui. Arriva anche per i ritardatari. E Tommaso dimentica improvvisamente la sua volontà investigativa e manifesta una fede che lo lancia ben più in alto di tutti gli altri: «Mio Signore e mio Dio!». Gli altri lo avevano solo riconosciuto. Lui lo confessa e proclama “Dio”, “mio Dio”! E noi facciamo nostra la fede di Tommaso ogni volta che quando il sacerdote alza la patena con il Corpo di Cristo e il calice con il suo Sangue, ripetiamo le sue stesse parole: «Mio Signore e mio Dio!»

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