«Signore, insegnaci a pregare!»
(Lc 11,1-13)
Una persona assorta nella preghiera suscita sempre ammirazione e desiderio di emularla. Mosè, dopo aver conversato con Dio, aveva il volto raggiante (Es 34,29-35). Tutto il popolo usciva dalle tende e, stando in piedi in segno di rispetto, lo contemplava ogni volta che si recava all’incontro con il suo Dio (Es 33,7-8). Cosa sarà stato contemplare Gesù assorto in preghiera, nel suo incontro personale con Dio? Nel vangelo di oggi un discepolo che, come Maria di Betania, aveva scelto “l’unica cosa necessaria” e “la parte migliore” (10,42), è attento a ogni battito di ciglia di Gesù, ad ogni suo gesto, ad ogni sua parola. Sta contemplando Gesù mentre questi fa la sua preghiera personale in un luogo e un tempo imprecisati. «Si trovava in un luogo a pregare»: la preghiera trasforma qualsiasi posto in un tempio, luogo di incontro tra l’uomo e Dio. Il discepolo lo vede, fissa il suo volto, cercando di ‘indovinare’ come il suo Maestro si rivolge a Dio. Vuol dire che Gesù non stava pregando con un tono di voce udibile, né che aveva indossato lo scialle e gli altri accessori che gli ebrei praticanti usano anche oggi per recitare le preghiere quotidiane prescritte dalla tradizione. Non stava pregando per adempiere la Legge. Stava semplicemente alla presenza di Dio, immobile e assorto. Dimorava in Lui, pure essendo sulla terra. Il discepolo in questo, soprattutto in questo, vuole imitare il suo Maestro: la preghiera manifesta la tua vita. Dimmi come preghi e ti dirò chi sei. Preghi come vivi. E vivi come preghi. Guardando Gesù, il discepolo sente crescere in sé il desiderio ardente di assaporare lo stesso gaudio ineffabile, misterioso, della comunione con Dio che traspare dal volto del suo Maestro. Vorrebbe entrare nello stesso flusso di amore, nella stessa relazione che Lui ha con Dio. Ogni uomo ha in sé il marchio o, meglio, il sigillo delle sue origini: siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e aspiriamo alla comunione piena con Lui, per acquietarci nella pace. Gesù era lì e il discepolo percepiva che in Lui e attraverso di Lui, Dio si era fatto vicino, a portata di mano. Il Regno di Dio era arrivato. Per questo voleva prenderlo, afferrarlo, entrarci dentro. Infatti, il corpo di Gesù è il nuovo e definitivo tempio di Dio (Gv 2,21). «Signore, insegnaci a pregare!»: chiede il discepolo a nome di tutti noi. È la cosa più importante che possiamo chiedere al Signore: insegnaci a pregare! Insegnami a pregare!
Gesù passa con semplicità, senza scossoni, dal dialogo col Padre al dialogo con i suoi fratelli adottivi. Si rivolge al discepolo, ma parla a tutti: «Quando pregate, dite: Padre!»: sulla bocca di Gesù il nome con cui Dio vuole essere chiamato (Padre!) compare 180 volte. In tutto l’AT solo 15 volte! È una novità stupenda! Improvvisamente l’uomo entra a far parte del Regno di Dio. Non come suddito, né come schiavo, ma come figlio. Ecco la novità di Gesù, la buona novella del vangelo: Gesù ci abbraccia come fratelli e ci fa entrare nella sua Famiglia donandoci Dio come Padre. Improvvisamente dal Figlio di Dio è colmato l’abisso tra il Creatore e la creatura; tra Dio e l’umanità peccatrice. Uscendo dalla comunione del Paradiso terrestre e continuando il suo cammino sulla terra, l’uomo aveva dimenticato che Dio era suo Padre. Era entrato sempre più profondamente nelle tenebre della menzogna e dell’oblio riguardo alla sua dignità originaria. In Gesù, l’uomo torna alla casa del Padre e viene riconosciuto ancora come figlio, torna alla sua autentica relazione con Dio. Ritrova sé stesso e la vera vita (Lc 15). «Padre!»: questo è il nome che rende santa la terra degli uomini. I cristiani hanno il compito di diffondere il Regno del Padre sulla terra, valorizzando ogni uomo e facendogli scoprire la sua verità di figlio di Dio, liberandolo dall’abbruttimento in cui si è avvoltolato. Ma prima di tutto, dice Gesù, per fare questo bisogna pregare: «Venga il tuo regno!». È Dio che diffonde il suo Regno nei cuori degli uomini. Il Regno di Dio è un dono che viene dall’alto. Non sono gli uomini che devono imporlo. Per questo segue subito (ma sempre da impetrare come dono) la richiesta di avere ogni giorno, tutti, il nostro pane quotidiano e il perdono per i nostri peccati. Sono le caratteristiche di questo Regno: la condivisione del pane (eucaristico, ma non solo!) e del perdono, ambedue doni di Dio, essenziali per una vita pienamente umana e degna di essere vissuta. «E non abbandonarci alla tentazione»: la tentazione, la prova, fa pure parte del nostro quotidiano, come il pane e il perdono. Non possiamo chiedere di esserne preservati, ma sì di non essere mai lasciati soli e di uscirne vittoriosi, combattendo con Dio al nostro fianco. È una richiesta che sgorga spontanea dal cuore che ormai ama il Padre e, riaccolto nella sua Casa, non vuole più allontanarsene.
